Produrre, vendere, scartare, ripetere: se il paradigma della Fast Fashion può sembrare piuttosto semplice, non lo sono altrettanto le sue conseguenze.
La cosiddetta “moda veloce” è composta da quell’insieme di aziende di abbigliamento che producono capi economici e di bassa qualità pensati per durare una stagione, per essere subito sostituiti con altri capi, più alla moda, sempre economici, più attuali, sempre con una vita breve. È il circolo vizioso di una logica usa-e-getta, e se la si osserva da vicino ne si possono distinguere gli effetti distruttivi.

I ritmi accelerati e l’economicità del prodotto fanno sì che anche la produzione debba essere necessariamente a basso costo. Da un lato questo comporta una spregiudicata delocalizzazione in Paesi in cui spesso le condizioni lavorative, igieniche e sociali, sono molto al di sotto della normalità e della legalità (basti ricordare la tragedia del crollo di Rhana Plaza, in Bangladesh). Dall’altro non si può non tener conto dell’altissimo impatto derivante da questa dinamica in perenne movimento: l’industria della moda è seconda a livello mondiale per tasso di inquinamento ambientale.

Contaminazione idrica e consumo d’acqua (2700 litri d’acqua necessari a produrre una sola maglietta, l’equivalente del fabbisogno d’acqua di una persona per due anni e mezzo), inquinamento energetico ed emissioni di CO2 (con il 10% delle emissioni globali di carbonio, più del totale di tutti i voli internazionali e del trasporto marittimo messi insieme): il tutto supportato da quell’abitudine ormai diffusa al consumo, che produce ogni anno circa 300.000 tonnellate di vestiti dismessi, destinati alla discarica o all’incenerimento.

Tra le tipologie di materiali utilizzati nella produzione di capi d’abbigliamento, la pelle è sicuramente tra i più difficili da gestire e da smaltire. Non si tratta di rifiuti qualsiasi: se fino al 2018 venivano conferiti per la maggior parte in discarica, oggi gli scarti di lavorazione della pelle sono considerati rifiuti pericolosi per la presenza di valori di cromo troppo alti, e devono essere pertanto smaltiti nei termovalorizzatori, impianti di combustione a tutti gli effetti, con tutto ciò che ne deriva.

Evitare la produzione di rifiuti sarebbe la scelta migliore per l’ambiente, ed è per questo che a febbraio 2021 il Parlamento europeo ha votato per il nuovo piano d’azione per l’economia circolare, con l’obiettivo di ridurre al minimo i rifiuti riutilizzando, riparando, e riciclando materiali e prodotti già esistenti.

L’idea alla base del nostro progetto è proprio quella di contribuire al potenziamento di una prospettiva circolare in un settore così particolarmente problematico come quello della pelletteria: il recupero di materiali di scarto si pone al polo opposto di quello sviluppo insostenibile di cui si risentono sempre di più gli effetti. Un’idea di moda etica che vuol fare la sua parte nell’evoluzione verso un futuro più sostenibile.