Recupero e riuso degli scarti di lavorazione della pelle
Nel settore conciario l’Italia ha un ruolo di leadership a livello internazionale, con oltre 1.180 aziende e con una produzione del valore di 4,6 miliardi di euro, pari al 65% dell’intera produzione UE e al 23% di quella mondiale. Come si coniuga questo primato nel quadro della transizione verso un’economia sempre più circolare? Quali i limiti e le possibili soluzioni alle criticità del ciclo produttivo della pelle e del cuoio?
Se il presupposto alla base di questo tipo d’industria nasce da un principio di tipo circolare, ovvero il riuso di un sottoprodotto derivato dalla filiera alimentare, il settore conciario non è comunque esente da criticità in termini di inquinamento ambientale e sprechi di risorse.
L’industria conciaria ha già iniziato a innovare e ad affrontare le principali preoccupazioni ambientali che la riguardano, riducendo il consumo idrico, migliorando il trattamento delle acque reflue, recuperando i rifiuti solidi o riducendo l’uso di alcune sostanze chimiche. Ma i metodi di smaltimento convenzionale degli scarti di lavorazione – dismissione in discarica, incenerimento termico, digestione anaerobica – continuano ad avere importanti effetti indesiderati.
Nello specifico, vi sono quattro categorie di scarti prodotti nella filiera produttiva della pelle: reflui, ovvero liquidi residui derivati dalle produzioni in bottale e dalle operazioni di lavaggio; emissioni; solidi prodotti nelle operazioni meccaniche; scarti di pelle finita. Entrare nell’ottica di un’economia circolare significa non solo gestire le risorse in modo più efficiente e ridurre gli sprechi durante i processi di lavorazione, ma anche evitare che tutto ciò che ancora intrinsecamente possiede una qualche utilità non venga smaltito in discarica, ma sia recuperato e reintrodotto nel sistema produttivo ed economico: per questo motivo è fondamentale la creazione di sistemi inter-filiera, in cui lo scarto di un’attività possa trovare nuova utilità come materia prima di un’altra.
È questo ad esempio il principale obiettivo dell’accordo raggiunto nel 2019 tra la Regione Toscana e il distretto toscano del cuoio, tra i più grandi a livello nazionale, per ridurre lo smaltimento in discarica di fanghi di depurazione e trasformare gli scarti di lavorazione conciaria in concime organico e conglomerati per l’edilizia, o il più recente progetto RI-Leather, con l’obiettivo di sviluppare prodotti e tecnologie per la riduzione delle sostanze pericolose e il riutilizzo degli scarti di alcune fasi della lavorazione delle pelli. Ma esistono anche altri esempi virtuosi di recupero di residui di questo tipo di produzione: si pensi ad esempio alla carta Remake di Favini, un tipo di carta che si compone per il 25% di sotto-prodotti della filiera della pelletteria.
Anche Cartiera vuole inserirsi in quest’ottica circolare di riuso attraverso un progetto di upcycling in grado di recuperare considerevoli quantità di pelle finita e destinata allo smaltimento, evitando l’impatto ambientale derivante da quest’ultimo e dalla produzione di nuovi prodotti, e trasformando quindi questi scarti di lavorazione in accessori etici e sostenibili.
L’impegno per concretizzare la formula zero-waste dovrebbe essere costante e in continuo aumento, sia attraverso la realizzazione di prodotti di eco-design che attraverso la definizione di nuove applicazioni finalizzate alla valorizzazione degli scarti di produzione: trovare soluzioni alternative ai modelli lineari di consumo è l’unica alternativa per un futuro più sostenibile.